23 Ottobre 2020

IL CASO ORTHOFIX

Il Gruppo Orthofix ha una storia più che trentennale.

Da un’idea del Professore di Ortopedia dell’Università di Verona Giovanni De Bastiani, ovvero trattare le fratture nel rispetto della naturale capacità di riparazione dell’osso, al prodotto, il fissatore esterno assiale, è stato breve.

La crescita dell’azienda è stata continua, coronata dall’ingresso del titolo al Nasdaq di New York nel 1992. Attualmente la sede principale, che si occupa principalmente di prodotti per la spina dorsale, è negli Stati Uniti, vicino a Dallas, mentre la sede europea concentrata sui prodotti per l’ortopedia è a Bussolengo (VR). Numerose sono le filiali (in Inghilterra, Francia, Germania, Svizzera, Brasile e Porto Rico) e ampia è la rete di distributori indipendenti, dislocati in 86 paesi). Il fatturato si aggira intorno ai 300 milioni di euro all’anno e sono più di 1000 i dipendenti (150 solo in Italia).

La chiave del successo dell’azienda è da ricercarsi nella capacità di recepire le istanze del mercato.
Circa sette anni fa è iniziato lo studio delle modalità di soddisfazione dei clienti ed è stata ravvisata l’esigenza di una reingegnerizzazione dei processi per arrivare a realizzare i prodotti finiti su richiesta, quindi in un sistema in pull che non ammettesse obsolescenze di magazzino o consegne non pianificate.

Nulla di nuovo se si considera che l’applicazione delle tecniche Lean (Lean Manufacturing e Theory of Constraints in primis) in Italia ha ormai una storia ventennale. Si può invece parlare di profonda innovazione se si guarda a come è stata affrontata la riorganizzazione in Orthofix: non agendo sul singolo processo, ma sulla totalità dei processi in una visione globale e rendendo protagonista del cambiamento la supply chain.

La prima innovazione ha visto l’introduzione di un MRP (Cyberplan) con funzionalità non tradizionali, ovvero non solo con la classica modalità push, ma anche capace di fare da contenitore dei cartellini (kanban). È in questa fase che interviene IUNGO

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